Peppe Voltarelli ricorda il grande Otello Profazio

Cindividiamo le belle parole con cui Peppe Voltarelli ha ricordato il grande Otello Profazio, scomparso di recente, e a cui anche il Serratore dedica un pensiero commosso e tanta gratitudine.

Ho conosciuto il lavoro di Profazio durante il mio periodo berlinese, quando un amico di nome Vito originario di Filadelfia (Vibo Valentia) mi ha iniziato alla sua opera. Da quel giorno mi è venuta voglia di conoscerlo, di incontrarlo, di cantare le sue canzoni con il suo piglio rubato, tagliente, esagerato. L’ho invitato a Cropalati ad un festival che seguo da ormai 15 anni e lui mi ha detto: “Vengo, ma fammi trovare una chitarra, perché vengo in autobus e non posso portare pesi”. Profazio era un coraggioso che con la chitarra suonata arpeggiata, con il suo personalissimo movimento non temeva nessuno, capace di fare lunghe divagazioni in cui inseriva morale, poi una citazione e una seconda morale, praticamente un fiume in piena. Era orgoglioso è ironico della sua calabresità, quando andavano in un paese a suonare mi faceva fermare la macchina per chiedere una cosa a un passante e domandava chi era il cantante calabrese più grande. Puntualmente tutti rispondevano: “Ma lei è Otello Profazio”. E lui gongolava come un bambino felice. Quando ho pensato al tributo “Voltarelli canta Profazio”, volutamente ho deciso di non coinvolgerlo, perché non volevo essere influenzato nella fase produttiva e nonostante la diffidenza di qualcuno, mi sono affidato a Carlo Muratori, un grande amico mio e musicista dalla grande cultura e dalla grande aderenza alle tradizioni popolari ma moderno, essenziale e siciliano rigoroso. Ed è quello che volevo: prendere i pezzi di Otello e portarli su un altro territorio, neutrale, pulito quasi scientifico rispetto alla sua modalità emotiva. Carlo è riuscito a creare una tessitura sonora incredibilmente rispettosa e nello stesso tempo profonda e nuova. Il lavoro di Anna e Rosaria Corcione con i loro dipinti hanno fatto raccontato con modernità il legame mio con Profazio, nonostante i 35 anni di differenza. Noi, la nostra Calabria, le nostre aggressività, la nostra paura di essere risucchiati nel profondo dal mulinello della gelosia, dell’invidia, della mediocrità nella quale siamo nati. Profazio era una spugna, assorbiva dal mondo che lo circondava tutte le sollecitazioni possibili, aveva una grande memoria e ambizione; a volte era esagerato, sembrava avesse inventato tutto lui, ma in fondo era così pieno di energia che con lui tutto sembrava possibile. Conosceva la cultura classica e ogni tanto dava delle perle durante i concerti fiume. Erar irriverente troppo poco malleabile e poco disponibile in questa epoca di lecchini e servi del sistema. Lui parlava spesso di ricercatori del già ricercato, perché odiava la retorica. Era socialista e andava fiero delle feste dell’Avanti e dell’Unità, raccontava spesso del suo incontro con Craxi a Milano e dei suoi viaggi in America, Australia e Argentina.

Per me era un grande momento quando timidamente dicevo: “Sono stato in Argentina”, e lui mi chiedeva: “Quante volte sei stato?” Io rispondevo: “sette volte” e lui incalzava: “Io 41”. E io zitto… Avevo capito che lo faceva apposta e reggevo il gioco. Ma sapevo che c’era stato veramente e pensavo che tra qualche anno avrei fatto anch’io così con qualche giovane implume… Otello, amico, maestro: sono felice di averti fatto da autista, da chitarrista, da spalla, da figlio e da rivale, e sono felice di non aver avuto nessun testimone da te, sono felice di averti tolto davanti il piatto di ragù alle lumache che sarebbe stato il tuo terzo bis, perché fuori c’erano 34 gradi e avevo paura. Sono felice di aver imparato da te che i percussionisti sono persecutori e che Buttitta ti rispettava, perché in fondo Sicilia e Calabria nella tua voce erano sempre tutt’uno. Sono felice di averti conosciuto e aver visto Capossela inchinarsi davanti a te quando arrivammo allo Sponz di Calitri. È stato bravo l’editore Squilibri a prendersi cura del tuo lavoro, lui ti voleva bene veramente, anche se certe volte lo facevi arrabbiare: ne sono testimone. Ma il mulinello è sempre in agguato, meglio non fidarsi neanche della propria ombra. Ti saluto. Otello non verrò al tuo funerale, perché per me non sei mai morto, vivi ogni giorno in tutte le pennate della chitarra nelle parole in “Colapesce” e nella “Crapa d’Agosto” e come lei continui a saltare e a gridare nelle nostre terre desolate, nei chiari di luna d’Aspromonte e nei tramonti tristi ci sarai sempre, con la tua fame di vita e di gloria.

Peppe Voltarelli