Erano diventati grandi amici Vincenzo Fiore (1870-1945) e Francesco Maradea (1865-1941), entrambi coriglianesi.
L’uno medico chirurgo, Ufficiale sanitario e l’altro Professore al Ginnasio Garopoli e Poeta molto amato.
Avevano frequentato Napoli per ragioni di studio e di specializzazione durante un breve ma intenso lasso di tempo di fine ‘800, quando tra compaesani fuorisede c’era, giocoforza, una frequentazione assidua e solidale.
Tornati a Corigliano, l’amicizia tra i due, basata sopratutto sulla reciproca stima per il talento e l’umanità che li rendeva unici, non potè che consolidarsi.
Vincenzo divenne medico personale e confidente nonché primo destinatario dei manoscritti di Francesco che attendeva con ansia le sue sincere impressioni.
E Francesco divenne istitutore dell’unica figlia di Vincenzo, Filomena, avuta in tarda età, nel 1930 e “custodita” più di una gemma rara.
Un’amicizia così forte, di cui restano foto e lettere tra i due, non poteva esaurirsi con la morte di entrambi. Filomena ne parlava spesso e conosceva a memoria molte delle poesie di “zio Ciccio”. Non so se conoscesse anche SCIÙ che, in musica, è diventata ormai quasi iconica per Corigliano, ma è certo che non fosse questo un suo cruccio quanto quello di non aver potuto adempiere ad una delle ultime volontà di suo padre: riposare per sempre accanto al suo grande amico Francesco Maradea. Le ragioni fanno parte di una storia triste ed intricata che merita la nostra discrezione.